di Damiano Cantone
“Che cosa dunque è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so bene: ma se volessi darne una spiegazione a chi me lo chiede, non lo so.” Il celebre passo delle confessioni di Agostino ha individuato una volta per tutte il paradosso di fondo di questa nozione: la parola tempo è una delle più comuni dei nostri vocabolari, dalla vita quotidiana alla scienza, eppure nessuno sa con precisione di cosa si tratta. O meglio, non sa spiegarla, descriverla, enunciarla, formalizzarla, darne una definizione, farne una teoria o un protocollo. Eppure c’è un altro livello, sembra suggerire Agostino, in cui invece la parola tempo ha un senso compiuto, chiaro, efficace. È lì che il tempo si dà, o accade, nella sua pienezza e nella sua compiutezza. In questo luogo non si fanno domande, perché la domanda, per sua natura, trasforma le risposte in cose e il tempo, qualunque cosa sia, non è una cosa. Anche l’unicità del tempo appare problematica: non posso darne una spiegazione singola perché forse ce n’è ben più di una, più di un tipo, più di un modo, più di una dimensione. Non parlo del presente, del passato e del futuro, la celebre tripartizione che in fin dei conti è riconducibile sempre e solo al qui ed ora (il passato infatti non è altro che un presente che non c’è più, e il futuro un presente che non c’è ancora), il quale a sua volta possiede una natura assai problematica (quando comincia? Quanto dura? Come fa a passare?), ma del fatto che con il termine “tempo” indichiamo probabilmente fenomeni assai diversi tra loro. Il rapporto tra la velocità e lo spazio è qualcosa di radicalmente diverso da quel che perdiamo navigando oziosamente sui social network, da quel che ci manca sempre quando dobbiamo finire un lavoro importante, da quel che dedichiamo alle persone cui vogliamo bene. Del resto, ognuno di noi vive il proprio tempo, secondo un proprio ritmo: sappiamo bene che gli istanti non sono misurabili, con grande scorno dei quadranti dei nostri orologi, ma cambiano di durata a seconda dell’intensità – la gioia o la tristezza – che li caratterizzano, e che un solo giorno vissuto da leone è da preferire a un’intera vita vissuta da pecore. Dunque parliamo come se il tempo fosse qualcosa di nostro, un tempo che ci è dato, di cui disponiamo: il tempo è la nostra “distensio animi” o il “senso interno”, secondo le celebri risposte della filosofia, o ancora, e senza essere filosofi, è il “nostro tempo” (o tempora, o mores!) il tempo della nostra esistenza mortale, il flusso interiore della vita che non ritorna e scorre in un’unica direzione. E se invece fossimo noi ad essere interni al tempo? Probabilmente anche i pesci nel mare sono propensi a considerare l’Oceano come una cosa loro. E allo stesso modo, non potendo uscire da esso, come noi non sanno bene di cosa si tratta. Pensare in questo modo ci toglie il terreno da sotto i piedi, e ci troviamo in balia di un campo di forze che non riusciamo in alcun modo a padroneggiare. Le cose si complicano: il tempo è una potenza che incessantemente rimodella le proprie determinazioni, e noi non ne siamo altro che la spuma, l’effetto effimero che nulla cambia nella sua immensa, eterna esistenza. La filosofia non può fare più di questo, rilanciare la vertigine del pensiero ogni volta che questo sembra ripiegarsi stancamente su se stesso: ci attendono dunque tempi interessanti.
Chi è Damiano Cantone
Filosofo
Damiano Cantone, ha insegnato Storia dell’Estetica presso l’Università degli Studi di Trieste. Si occupa dei rapporti fra cinema e filosofia, con particolare attenzione al lavoro di Gilles Deleuze. Ha pubblicato, fra gli altri, interventi su Deleuze, Lyotard, Hitchcock, Cronenberg. Tra le sue pubblicazioni recenti ricordiamo I film pensano da soli (2013). È traduttore e curatore di numerose opere del filosofo sloveno Slavoj Zizek e redattore della rivista “aut aut”. Tra le sue pubblicazioni per Mimesis si segnalano Cinema, tempo e soggetto (2009), L’affermazione dell’architettura (con Luca Taddio, 2011) e I film pensano da soli (2012). Nel 2016 è uscito l’ultimo suo libro Suspence! Il cinema della possibilità, scritto insieme a Piero Tomaselli. |