C’è una cosa oggi che tutti, o quasi, percepiamo come preziosa: la privacy. Il timore che alcuni lati di noi siano esposti agli altri ci spaventa. Che siano condivisi in società o sul web.
Eppure attraverso dispositivi ed app che ci rendono sempre più facile la vita, siamo spesso connessi gli uni agli altri e condividiamo molte informazioni che ci riguardano: come la pensiamo su un argomento, quando ci svegliamo, che film ci piace guardare, che musica ci emoziona, con chi siamo usciti ieri, cosa abbiamo in programma domani. A volte anche senza esserne consapevoli.
Brené Brown, studiosa di connessioni umane e autrice di una TED Conference visualizzata da milioni di persone, afferma che “la connessione è la ragione per cui siamo qui. È ciò che dà un significato e uno scopo alle nostre vite”.
Stare connessi – umanamente – è vitale. Ci permette addirittura di trovare significato e scopo alla nostra vita. Perché?
“Fa parte della nostra biologia. Dal momento in cui nasciamo abbiamo bisogno di relazioni per crescere emotivamente, fisicamente, spiritualmente e intellettualmente…. ll bisogno di connetterci è più di una sensazione. È scienza. Neuroscienza, per la precisione” scrive la Brown nel suo libro I doni dell’imperfezione.
E ancora, citando Daniel Goleman e il suo libro Intelligenza sociale, riporta: “non sorprende che il senso di connessione che proviamo nei nostri rapporti influisca sullo sviluppo e sul funzionamento del nostro cervello”.
Stare connessi significa entrare in contatto con gli altri e per farlo è necessario acquisire fiducia, esponendosi, condividendo qualcosa di sé, che sia un’opinione, un’emozione o un pensiero. C’è però sempre qualcosa che, se scoperto da altre persone, a priori viene ritenuto pericoloso per la nostra dignità e pertanto per la nostra connessione, per il nostro stare in società.
Come per un sistema operativo o un’Intelligenza Artificiale, più porte si aprono, più è probabile un attacco da malintenzionati.
Eppure connetterci non significa solo dare informazioni ma anche acquisirne. Ci permette di far sapere che ci siamo, di conoscere meglio l’ambiente in cui viviamo, di trovare soluzioni a problemi che magari altri hanno già affrontato, di sperimentare, di scoprire.
La vulnerabilità intimorisce ma, afferma la Brown nel suo TED Talk, “sembra essere anche la culla della gioia, della creatività, del senso di appartenenza”.
Se le Intelligenze Artificiali stanno imparando dai nostri comportamenti, argomenti così potrebbero essere molto preziosi per tutti noi. Le AI potrebbero fare loro valori come la condivisione, la fiducia, l’apertura e persino la vulnerabilità a tal punto che potremmo condividere le medesime percezioni.
Una riflessione interessante sulle opportunità e sui rischi dell’Intelligenza Artificiale, la fa Pierguido Iezzi in un articolo per Inno3:
“le macchine, ad oggi, non riescono a comprendere a pieno l’essere umano e la sua natura – una macchina non è in grado di comprendere (ancora) i comportamenti umani e li percepisce ad ora come irrazionali… L’uomo non riesce ancora ad affidarsi ciecamente ad una macchina per quanto riguarda le decisioni. Una volta che le macchine saranno in grado di capire gli uomini, gli uomini riusciranno a fidarsi delle macchine per prendere decisioni”.
In una maniera o nell’altra siamo in rete 24 su 24. Che ci faccia sentire a nostro agio o meno, ovunque, persino se dimentichiamo a casa lo smartphone, è probabile che una telecamera, un satellite, un drone o un microfono registri qualcosa di noi.
Condividere solo la parte che riteniamo possa piacere agli altri, potrebbe porre un forte freno all’espansione della nostra percezione. E probabilmente limiterà anche la qualità delle Intelligenze con cui dialogheremo in un futuro ormai prossimo.
Essere vulnerabili potrebbe farci percepire come persone più vere. E forse, meno minacciose.
Per approfondire il tema, guarda il TED Talk di Brenè Brow, il potere della vulnerabilità