ETERNITÀ
Cosa significa vivere per sempre?
[…] Indossare la tua nuova pelle come se fosse un paio di guanti imprestati da qualcuno e scottarti le dita ancora un’altra volta.
risponde al capitolo 24 Takeshi Kovacs, protagonista del romanzo di Richard K. Morgan, Bay City (in inglese, Altered Carbon).
Kovacs legge questo haiku e gli pare che chiunque lo abbia elegantemente scritto con tali delicati kanjii si stia rivolgendo alla sua nuova custodia, il corpo dell’agente di polizia Elias Ryker che ora gli è stato dato in concessione d’uso. Nulla di strano, visto che si tratta del 2384 e la sua Mente, in forma di Memoria ed Identità, così come quella di tanti altri, può essere facilmente codificata come I.D.U., Immagazzinamento Digitale Umano, e caricata su un supporto chiamato “pila corticale”, il quale viene inserito chirurgicamente nella colonna spinale di corpi sintetici, clonati o naturali. Una pila che, inoltre, permette di trascorrere del tempo indefinito in un ambiente virtuale a scelta, ma anche di effettuare viaggi interplanetari a velocità superluminale grazie al procedimento di “agotransfer”, che trasferisce la coscienza e l’identità da una custodia all’altra, di pianeta in pianeta.
Kovacs, ex soldato dell’unità speciale “Spedi” (“spediti”), addestrata per azioni di combattimento interstellare, è stato particolarmente fortunato: nonostante la sua ribellione al Protettorato, guida assoluta del mondo conosciuto, e nonostante la distruzione del suo corpo reale, invece di subire la “vera morte” con la disattivazione della sua pila, è stato relegato mediante questa in stasi carceraria per 250 anni, fino alla ricustodia nel corpo dell’agente Ryker.
Molto del romanzo, così come della serie televisiva statunitense che lo adatta, si focalizzano su una semplice trama, ovvero l’indagine di Kovacs per l’apparente suicidio di un Mat, (abbreviazione di Matusalemme, uno dei grandi patriarchi antidiluviani citati nel libro della Genesi, ivi presentato come la persona più vecchia che sia mai esistita), un ricchissimo esponente della società che può permettersi di conservare ed aggiornare periodicamente copie di backup della propria Identità, in maniera tale da poter essere scaricato infinitamente in una nuova custodia. Il Mat in questione, Laurens Bancroft, nonostante sia sopravvissuto al suo apparente suicidio grazie al sistema di back-up, ha perso memoria degli eventi che lo hanno portato al tragico incidente ed è convinto di essere stato vittima di un tentato omicidio: per questo motivo, ingaggia Kovacs e gli fornisce una nuova custodia per risolvere il caso.
Tuttavia, è l’ambientazione fantascientifica e il mondo perverso e distorto in cui la vicenda di Kovacs si snocciola che attirano realmente il lettore, ma anche lo spettatore: la Terra è un pianeta insulso in uno spazio che oramai è colonizzato con successo; le città di ogni galassia sono corrotte, popolate da poveri accattoni, consumatori assidui di droghe sintetiche, e criminali e prostitute reali e virtuali; i concetti di Morte, Anima e Giustizia hanno assunto un significato differente, o lo hanno quasi perduto, sicché la Morte non è del tutto definitiva, l’Anima nella sua essenza di memoria ed identità può essere scaricata come fosse un file, e la Giustizia, infine, deve tenere conto di entrambi i concetti che qui l’hanno preceduta, traducendosi in pene che scardinino l’Eternità.
I progressi scientifici, la frammentazione nel Tempo e nello Spazio dell’Identità dell’Uomo e il peso del Futuro incombente delineano una cornice terribile e perfetta per parlare del dramma umano e delle sue potenzialità in quella che, narrativamente parlando, può essere chiamata distopia.
DISTOPIA
Quando si parla di distopia si tende a includere aggettivi come “fittizio”, “immaginario”, “ipotetico”: questo perché, gran parte del pensiero a riguardo del termine deriva da opere fantascientifiche (letterarie e cinematografiche) di denuncia e satira del mondo contemporaneo, nelle quali quest’ultimo viene calato in modo fittizio, realizzando sovente un parallelo immaginario, e trovando così ambientazione in un ipotetico e quanto mai angusto Futuro.
Da 1984 a Il mondo nuovo, rimbalzando fra Black Mirror e Westworld, e capitolando su Altered Carbon/Bay City, la distopia si mostra come uno specchio rotto (e spesso ipertecnologico) della società in cui viviamo: depersonalizzazione e snaturalizzazione sono concetti chiave che frammentano ogni individuo e lo rendono la pedina di un gioco di totalitarismi, violenza gratuita e perdizione interpersonale.
Ciononostante, il fulcro reale della distopia, nonché l’innegabile motivazione che la rende un concetto estremamente pop, non sta tanto nella fantascienza dell’avvenire quanto in un binomio così intrinsecamente umano da passare quasi inosservato: quello di speranza e disperazione.
“Sperare” è forse un atto di debolezza, una cieca fiducia in ciò che è inconoscibile. Prestare fede in Dio, confidare nell’Altro, credere nel Futuro, e persino contare sulla buona natura della propria Anima: la distopia si plasma tanto sulla critica del mondo moderno, quanto su tutte queste forme di speranza che, inevitabilmente, devono essere spezzate per trascinare il lettore/spettatore nel baratro della riflessione. In un certo senso, la distopia scardina la natura fiduciosa dell’Uomo e gli dà in cambio viti, bulloni e travi di Disperazione, Dubbio e Paura. Nella distopia, l’Uomo diviene una mera Unità che può essere sostituita e replicata, salvo controindicazioni delle Autorità o strenua ribellione dell’Individuo. Tutta la realtà della distopia serve ed alimenta l’idea che non vi è stabilità nell’Uomo al di fuori di questa sua Unità, e che pensare che l’Uomo possa essere più complesso di una custodia con una pila sia un semplice errore di percezione, non dissimile alla teoria tolemaica che vuole il Sole e le stelle ruotare attorno all’insignificante Terra.
Qual è allora, nella distopia, il corrispondente della teoria copernicana per quanto riguarda la Natura dell’Uomo? È quella del mind uploading, reso possibile dal presupposto che la Mente e la Coscienza dell’Uomo altro non siano che delle proprietà emergenti, fisiche ed elettrochimiche, dell’elaborazione dei segnali che percorrono le sinapsi e vengono trasmessi alle cellule nervose tramite il rilascio e il rilevamento di neurotrasmettitori.
In un connubio tra neuroscienza computazionale, neuroinformatica e pura fantascienza, il mind uploading prometterebbe dunque di scansionare e mappare il cervello umano – e quindi la Mente cosciente – al fine di copiarlo su substrati non biologici (sistemi informatici, dispositivi di calcolo, realtà simulate) e, in un futuro più remoto, persino su modelli anatomici tridimensionali, robot umanoidi o corpi biologici. Quelle del mind uploading, pur essendo principalmente promesse, sono anche grandi possibilità ancorate non solo nei successi e nelle sconfitte delle ricerche sinora effettuate in materia, ma persino, e nonostante, nel fallimento delle teorie del progresso tecnologico esponenziale; il trasferimento della mente è infatti una forma distinta di Intelligenza Artificiale che, secondo alcuni studiosi, potrebbe trovare fruizione in qualche decennio, permettendo così la conservazione dell’Identità storica degli individui e, dunque, la loro probabile immortalità.
APOCALISSE
Dov’è la voce che diceva che il carbone alterato ci avrebbe liberato dalle cellule della nostra carne? La visione che profetizzava che saremmo divenuti angeli?
Nella distopia, la promessa di un Mondo migliore viene spezzata ad ogni passo che l’Uomo percorre nel cammino verso il Futuro e il progresso, in una sorta di gioco malaugurato in cui il meccanicismo vince immancabilmente sul vitalismo. È bene ricordare che, tuttavia, la distopia stessa è tanto nel futuro quanto nel presente: la si trova, per esempio, nei calcoli del quantico e su Internet, dove già ci fa processare un numero incalcolabile di dati su noi stessi e cosa ci circonda. La si trova anche in certe startup neuro-informatiche che tentano una mappatura del cervello umano per creare un connettoma. La si trova, infine, nella contingente 2045 Initiative, la quale si prefigge (sin troppo speranzosamente) di raggiungere l’immortalità cibernetica entro il 2045.
Non sarebbe troppo scorretto, dunque, dire che la distopia potrebbe essere già qua, con gli occhi proiettati verso i secoli a venire.
In bilico tra città stampate in 3D che si ripareranno da sole e una crisi climatica che di riparabile avrà poco e niente, tra cento anni l’uomo vincerà e perderà sfide in Natura e Tecnologia. Di 10 miliardi di esseri umani, quattro milioni saranno molto probabilmente costretti a lasciare le proprie case per l’innalzamento del livello del mare, mentre altrettanti inizieranno a prendere dimestichezza con l’idea di colonie spaziali per sviluppo e ricerca. Inoltre, un maggior numero di esseri umani potrà non solo usufruire di molteplici soluzioni biotecnologiche per sostituire arti ed organi, ma potrà anche utilizzare interfacce neurali/neuro-computer (BCI, Brain-Computer Interface) per la lettura delle informazioni cerebrali e creare così una vera e propria sincronia con corpi sempre più bionici: già ad oggi, alcuni prototipi di BCI stanno fornendo supporto a pazienti in riabilitazione da infarto e da amputazioni dando rispettivamente loro la possibilità di ripristinare parte della mobilità delle mani e del tatto attraverso protesi e supporti con sensori per stimoli cerebrali.
Tra duecento anni, la Terra diventerà una civiltà di tipo I sulla scala di Kardašëv: gli esseri umani saranno così in grado di utilizzare tutta l’energia disponibile sul pianeta. Tuttavia, l’attività umana nei secoli precedenti avrà causato danni irreparabili al mondo naturale. Di 30 milioni di specie conosciute in flora e fauna, più di metà saranno perdute per inquinamento, esaurimento di risorse idriche, cambiamento climatico, deforestazione, estrazione mineraria, agricoltura ed espansione urbana incontrollata. Ciononostante, l’Uomo avrà reso accessibili diverse dimensioni della realtà, come quella spaziale, che verrà conquistata completamente con la terraformazione dei pianeti del Sistema Solare, quella virtuale, che affiancherà quotidianamente quella fisica, e quest’ultima, la quale sarà a sua volta esponenzialmente intrecciata a quella tecnologico-artificiale. Le Intelligenze Artificiali permetteranno non solo l’automatizzazione di gran parte delle attività proprie degli esseri umani, ma ne aumenteranno direttamente anche l’efficacia e la produttività, fornendo loro un utile supporto che ne amplierà le capacità in modi stimolanti e complessi. Tra queste tecnologie, l’upload e il backup della memoria saranno molto probabilmente alla portata di una sostanziale porzione della popolazione mondiale, andando di pari passo con altre tecnologie di conservazione d’Identità come clonazione e crionica.
Entro il 2384, tra mondi iperconnessi, IA senzienti e menti che viaggeranno per Spazio e Tempo, la realtà del carbone alterato, con tutte le sue meraviglie e i suoi orrori, potrebbe essere uno scenario più che plausibile.
SIMULACRO
E, allora, cosa significherebbe vivere per sempre?
Cosa comporterebbe un’immortalità non più appannaggio di miti e divinità? Cosa si guadagnerebbe e cosa si perderebbe a lasciarsi la propria custodia biologica alle spalle per abbracciarne di infinite nuove? È difficile dirlo.
Ciò che sappiamo è che, ora come ora, le neuroscienze necessarie per sviluppare il mind uploading richiederebbero esperimenti degni di certi film splatter moderni: cervelli di animali ed esseri umani che dovrebbero essere estratti, affettati e scansionati e ulteriori sperimentazioni dolorose di percezione in vivo. Tutte cose che, potenzialmente, potrebbero dare il risultato sperato, ma al contempo creare un upload distorto e sofferente della matrice d’origine. Prendendo infatti come ipotesi che l’upload di una matrice possa avere una coscienza vera e propria, e che quindi il mind uploading possa essere trasposto in pratica, secondo la teoria del problema dei qualia (ovvero, in questo caso, della permanenza degli aspetti qualitativi delle esperienze coscienti da una matrice al suo upload), ne consegue che anche gli upload – e non solo le matrici – soffrirebbero o avrebbero memoria del dolore derivante dal procedimento di trasferimento della mente, causando danni irreparabili all’upload finale. Nonostante alcune startup si stiano muovendo verso una soluzione meno invasiva, è inutile negare che, anche nella migliore delle ipotesi, un upload potrebbe essere banalmente cancellato da un malware, quasi fosse un file qualunque. Immaginatevi dunque i titoli di un ipotetico giornale di cronaca nera del 2384: “Ultracentenario Nobel della Pace ucciso da un trojan”.
In questo istante, nel 2018, le stelle si consumano, l’universo si frammenta ed espande ad una velocità incalcolabile, e l’essere umano è composto da colonie di cellule in un’alleanza temporanea e decadente, all’interno della quale fluttua precario un groviglio di impulsi elettrici, il codice di carbonio, l’Anima, la Mente. Dunque, avevano sia ragione che torto certi filosofi e teologi di un tempo: il corpo è veramente “l’abominevole rivestimento” o il “peso” dello Spirito, ma anche questo, lo Spirito, altro non è che un’Illusione, una confusa nube che, per quanto complessa ed espansa, può essere scaricata in file e cartelle e spostata da una custodia all’altra in eterno, qualora si desiderasse realmente esistere per sempre. Alla base del concetto di mind uploading, infatti, sussistono due teorie, ovvero che i medesimi processi cognitivi di un cervello possano essere riprodotti inalterati anche da altri dispositivi di elaborazione e che la Mente umana sia rappresentata solamente dalla rete neurale tangibile piuttosto che da un’Anima. La percezione dell’Anima, in conclusione, altro non sarebbe che una interpretazione mal calcolata del sé. Questa consapevolezza è un poco come un’Apocalisse, ma senza i cavalieri che emergono dal cielo o dalle crepe nel suolo, bensì che provengono da un ragionevole dubbio che si annida dentro:
sono solo questo?