Priel Korenfeld: ascoltare, conoscere, capire

Caro Priel, sei nato in Israele, che è una terra che guarda al mare, quello stesso mare che ci unisce, ma che talvolta spesso ci divide, trasformandosi in un tragico scenario di morti e dispersi, che lo navigano in cerca di fortuna. Che “sapore” ha il tempo chi hai vissuto e che si vive in Israele, e quali sono le differenze o le similitudini con il tempo che vivi qui, in Italia?

Interessante che mi chiedi del “sapore”… vedi, in Israele un piatto è generalmente considerato buono se è forte, mentre in Italia sarebbe preferibile uno delicato. Parliamo di un paese molto giovane, che per diverse ragioni impartisce un profondo senso d’urgenza nel cuore di chi ci cresce. In Italia (per quanto le cose stiano cambiando) il tempo è più elastico – un’ora può essere scarsa o abbondante ad esempio, un concetto che mi era del tutto incomprensibile all’inizio. Non dobbiamo però farci illudere dalle differenze, soltanto perché sono più evidenti nella nostra mente, non mancano nemmeno le similitudini . Si cerca di dedicare il tempo alle cose che fanno valere la vita: il buon mangiare (seppur concepito diversamente), la famiglia, gli amici. Le persone alla fine vogliono le stesse cose dalla vita, solo che in Israele si percepisce sempre il pericolo, lo stato instabile delle cose. È tutto molto effimero.

Nell’abstract dell’intervento che farai sul palco del TEDx scrivi: “ci vuole tempo da dedicare per conoscerci”. È una frase bellissima se pensiamo a quanto le nostre comunità, oggi, sono multietniche. Come dev’esser fatto il tempo da dedicare alla conoscenza dell’altro?

Senza svelare tutto il mio talk, potrei dire questo: se vogliamo davvero conoscere qualcun altro, il tempo da dedicarvici dev’essere personale ed indirizzato all’ascolto. Possiamo leggere tutto quello che vogliamo su di un’altra cultura, imparare concetti e conoscere numeri e statistiche. Niente però è più potente, per la nostra mente, di un incontro significativo con una persona in carne ed ossa. Confrontarci con un’altra persona ci costringe a renderci conto di come la vediamo, di che visione del mondo portiamo dentro. Ecco perché questo tempo dev’essere fatto d’ascolto però. Se mentre una persona parla, noi siamo già impegnati nella costruzione della nostra prossima frase, quella non è davvero una conversazione ma sono solo due monologhi paralleli. Quando dico ascolto intendo dire che l’incontro con l’altro va vissuto come un’opportunità di scoperta. Dobbiamo fare domande a noi stessi e all’altra persona con la stessa frequenza, sincerità e curiosità che caratterizzano i bambini.

I tempi cambiano, e modificano in continuazione i nostri modi di essere pare di questo mondo. Qual è secondo te il rapporto che il fluire del tempo (e quindi dei cambiamenti sociali che questo comporta) ha con la nostra identità di persone?

La nostra identità è ciò che diciamo di essere, come definiamo noi stessi, individualmente e collettivamente. È un tema che mi è molto caro perché credo sia la vera base dei conflitti e quindi anche della loro costruttiva gestione. Il temo che viviamo oggi sembra accelerare a più non posso (o più non ne possiamo), e purtroppo è disastroso per le nostre identità. Considerare l’identità nostra e quella altrui è una questione complessa, ci sono molte dimensioni che assieme compongono le nostre identità. Se considero soltanto la dimensione della religione, ad esempio, allora sembra che il conflitto israelo-palestinese sia determinato da una collisione religiosa. Ma se vado a cercare la composizione religiosa e culturale delle due popolazioni o decido di approfondire i messaggi che portano le due religioni “contrapposte” – allora scopro ben presto che la cosa è molto, ma molto più complessa. Ecco dove sta il pericolo dell’accelerazione dei nostri tempi. Se non abbiamo il tempo per prendere seriamente in considerazione la complessità della nostra identità e quella degli altri – rischiamo di semplificare le cose riducendole al punto che è più facile che servano a promuovere una contrapposizione che una complementarietà.

Anche a te chiediamo di lasciarci con una frase che ti sta particolarmente a cuore o che ti rappresenti…

Mi viene in mente una famosa citazione di Abraham Lincoln che diceva: “Non mi piace quell’uomo. Devo imparare a conoscerlo meglio”.


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